Tredici 2: 13 ragioni per non vederla.

Tredici

La seconda stagione di Tredici è approdata il mese scorso su Netflix, ma ne avevamo davvero bisogno?

Tredici, serie tv molto discussa lo scorso anno, è incentrata sul suicidio di Hannah Baker che, attraverso tredici cassette, spiega i motivi che l’hanno condotta a compiere un gesto così estremo.

La prima stagione era stata una vera novità per il panorama seriale, rivelandosi oltre che un buon prodotto di intrattenimento anche uno spunto di riflessione per problemi reali e complessi, ma purtroppo non possiamo dire lo stesso di questa seconda stagione.

Perciò ecco quali sono i 13 motivi per cui, secondo me, potete fare a meno di vederla.

1. La trama:

Come avevo già detto l’anno scorso, per me Tredici si sarebbe potuta concludere con una prima stagione. La seconda, oltre ad essere una pura e semplice trovata pubblicitaria per cavalcare l’onda del successo, l’ho trovata davvero priva di contenuti. La storia riprende pochi mesi dopo il finale della prima stagione, con tutti i nostri protagonisti alla prese con le conseguenze che le cassette di Hannah e le loro azioni hanno portato nella loro vita. Non abbiamo più tredici cassette qui, ma bensì tre polaroid e, soprattutto, tredici confessioni suddivise nelle tredici puntate. Nessuna di queste singole storyline aggiunge qualcosa di essenziale alla storia principale ed anzi appare chiaro come molte di esse siano state create ad hoc per poter dare un continuo alla serie, risultando per questo poco credibili, affrettate e incoerenti.

2. Personaggi poco approfonditi:

Tredici durante la prima stagione riusciva a farci entrare nella mente della protagonista, facendoci provare empatia nei suoi confronti, nonostante Hannah fosse un personaggio scomodo. Nella seconda stagione questo approfondimento è andato a perdersi, probabilmente per il desiderio di voler dare a tutti i costi una voce ad ogni persona coinvolta nelle vicende. Ogni personaggio ha avuto una episodio dedicato, con la differenza che stavolta ognuno narrava il proprio punto di vista. Questo ha portato ad un continuo cambiamento di prospettiva e a non avere realmente il tempo per approfondire ogni storia nei minimi dettagli.

3. Problematiche gravi trattare superficialmente:

Quasi tutti i personaggi soffrono di disturbi gravi che hanno bisogno di essere trattati con attenzione, non solo da parte dei genitori ma anche da personale competente. Tutto questo, invece, non viene assolutamente mostrato. Mai una volta vediamo i ragazzi andare in terapia o parlare apertamente con i genitori o i professori. In questa stagione sembra che gli adulti ricoprano il ruolo di soprammobili, ed è assurdo non preoccuparsi minimamente dei propri figli, soprattutto dopo la tragedia di Hannah.

4. Il surrealismo:

Ragazzini minorenni che entrano ed escono di casa come e quando vogliono, che fanno feste pazze con droga e alcol anche a scuola, che bruciano campi da football, che nascondono altri ragazzini in casa, che tengono in cantina bauli ricolmi di armi e che non vengono minimamente controllati. Ma di cosa stiamo parlando? In quale mondo un genitore, soprattutto dopo essere stato testimone di una tragedia, non controlla il figlio? E come è possibile che tutte le tragedie non solo capitino nella stessa scuola ma solo ad un gruppo?  Non esiste un ragazzo che abbia come unico problema quello di un voto brutto a scuola. Tutti hanno tragedie gravi, genitori assenti e professori stupidi.

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Alisha Boe è Jessica Davis in una scena della seconda stagione. (Crediti: Netflix)

5. Scene di violenza gratuita:

Se nella prima stagione di Tredici avevo apprezzato il realismo di alcune scene – come quella del suicidio di Hannah – nella seconda le ho trovate superflue e inserite con il solo scopo di scioccare lo spettatore. Parlo della scena dell’ultima puntata. Una scena forte sì, che accade nella realtà forse, ma che non ha nessun tipo di senso all’interno della storia, soprattutto se consideriamo il modo in cui la stagione finisce. Quel personaggio aveva già problemi gravi, aveva già meditato vendetta, ma all’ultimo sembrava guarito. Cosa fare in questo caso? Ma sì, inseriamo una violenza random a scuola, dove nessuno lo vede o lo sente. Solo per portare alla tragedia finale, ancora una volta passata inosservata a genitori e professori, sventata da un gruppo di ragazzini.

6. Il personaggio di Hannah:

Se nella prima stagione di Tredici Hannah risultava antipatica e pesante, in questa seconda vorresti solamente sbatterle la testa al muro. Nelle scene con Clay non ha realmente nulla da dire, appare e scompare a suo piacimento aggiungendo qualche parola superflua a discorsi già chiari. Nei flashback, invece, ci viene mostrato il ritratto di una ragazza che non è più vittima. La realtà degli altri personaggi viene messa in primo piano e la sua morte, in un certo senso, viene dimenticata e superata da tutti, come se fosse inevitabile o di poco conto. Ogni personaggio ha una scusa plausibile e questo tende ad eliminare un confine tra bene e male, giusto e sbagliato, buoni o cattivi.

7. La “condanna” di Bryce:

Sappiamo tutti quanto la legge a volte non funzioni e i tribunali facciano acqua da tutte le parti, ma nel caso di Bryce il tutto raggiunge livelli imbarazzanti. Ha stuprato, è stato denunciato e se la cava fin troppo facilmente. Cosa dovrebbe insegnarci tutto questo? Che è inutile denunciare una violenza perché tanto il tuo violentatore la passerà liscia? Come pretendono che una ragazza, che ha subito violenza e per cui è già difficile denunciare, accetti di farlo se ciò che viene mostrato è l’assoluta mancanza di pena per chi compie un’azione simile? E non si parla solo di pena giuridica, ma anche di pena sociale. Bryce non perde nulla. Mentre ci sono ragazze che hanno avuto non solo la vita rovinata ma che l’hanno persino persa!

8. Le polaroids:

Così come le cassette, le polaroids sono solamente un espediente per inserire un particolare vintage e cavalcare l’onda di un ritorno al passato. Al contrario delle cassette, però questa nuova trovata nella seconda stagione di Tredici convince poco. È poco credibile che un gruppo di ragazzi che vive con il cellulare in mano non senta il costante bisogno di documentare ciò che succede ad una festa. Se le cassette simboleggiavano il bisogno di Hannah di essere ascoltata attraverso mezzi non convenzionali e che non erano stati causa della sua sofferenza, le polaroids non hanno nessun significato. Avrebbero, infatti, potuto sostituirle con qualsiasi cosa e nulla sarebbe cambiato, soprattutto se consideriamo come tutto si è risolto.

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Dylan Minnette nei panni di Clay Jensen in 13 Reasons Why. (Crediti: Netflix)

9. Gli stereotipi e i cliché:

I personaggi di Tredici appaiono, soprattutto in questa stagione, stereotipati e incapaci di togliersi di dosso certe etichette. Il ricco con i genitori assenti che compie azioni raccapriccianti ma la passa liscia, il ragazzo abbandonato a se stesso con una madre drogata che finisce col compiere gli stessi sbagli di quest’ultima, il ragazzino con i genitori apprensivi che si rivela un serial killer. Nessuno dei personaggi sembra avere una famiglia normale e un comportamento altrettanto normale. È una serie piena di cliché sugli adolescenti. Se non hai almeno un problema mentale, una famiglia sfasciata, non fai uso di alcol e droghe e non provi piacere a compiere bullismo verso il prossimo non sei un adolescente.

10. Gli attori:

Se nella prima stagione erano stati proprio alcuni attori a farmi amare Tredici, in questa ho visto un calo qualitativo e tanti passi indietro. Katherine Langford  è stata rilegata al ruolo di semplice comparsa senza profondità, cancellando così l’ottimo lavoro fatto nella prima stagione. Se vi aspettate di rivedere una scena simile a quella del suicidio di Hannah o del suo stupro aspetterete in eterno, nessuna delle scene di Katherine a mio avviso tocca quei livelli. Anche Dylan Minnette in questa stagione sembra intrappolato nel ruolo del dolce Clay, il ragazzo che vuole a tutti i costi fare la cosa giusta, senza riuscire mai a trovare la sua strada.

11. La tematica degli abusi:

Se nella prima stagione il tema dell’abuso era chiaro e veniva mostrato solo attraverso una violenza fisica, in questa non è più così. Parlo della scena in tribunale di Jessica, inserita semplicemente per seguire il fenomeno del movimento #metoo. Sono la prima a dire che qualsiasi tipo di abuso debba essere denunciato, ma mettere tutti gli abusi sullo stesso livello mi è sempre sembrato eccessivo. Sentir dire “sono stata guardata da un uomo” e “sono stata stuprata” sono due cose completamente diverse, certamente meritevoli di spazio ma che devono essere trattate in un modo e in un momento diverso.

12. I flashback:

Alcune scene di questa seconda stagione sono un allunga brodo, perché non hanno nessun tipo di collegamento con la prima e appaiono del tutto incoerenti. Parlo della storia d’amore della sesta puntata che, per quanto carina da vedere, appare molto improbabile, soprattutto per il modo in cui si risolve. Oppure delle storie legate al diario di Hannah e al suo rapporto con Ryan e Bryce.

13. Il finale:

Il finale è solo un’insieme di scene violente o prive di significato che non offrono nessuna risoluzione per le problematiche dei ragazzi, ma anzi vanno ad aggiungere benzina su un fuoco che sta per spegnersi.

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13 Reasons Why – Recensione

 

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