A Dawson’s Creekmas Carol – Capitolo 3 [Fanfiction]

Capitolo 3

Quando richiuse la porta del suo studio Dawson si sentì più frastornato che mai. Stare fino a tardi lì era stata una cattiva idea e forse sarebbe stato meglio tornare al suo appartamento, fare una doccia rilassante, un litro di caffè che non contenesse strane droghe e rimettersi a lavoro per scrivere la fine del suo copione. La sua immaginazione, chiaramente, gli aveva giocato brutti scherzi e la stanchezza non aveva aiutato per nulla.

Guidò veloce fino a casa proprio per avere il meno tempo possibile da dedicare a quei pensieri e, per fortuna durante il tragitto, fu aiutato nell’impresa di distrarsi dallo scenario che lo circondava. Le strade di Los Angeles erano illuminate a giorno, nonostante fosse ormai scesa la sera. La Hollywood Boulevard era delimitata da grandissimi abeti decorati e luminarie di ogni colore, e si preparava per l’annuale parata di Natale che si sarebbe svolta di lì a pochi giorni. Per le strade piene di auto, gente di ogni età proseguiva la propria corsa verso i negozi più costosi, con l’obiettivo di accaparrarsi già i primi regali di Natale. Dicembre era da poco cominciato, ma quella città sembrava essere stata rigurgitata dal film “Nightmare Before Christmas” e somigliare sempre più alla città del Natale in cui Jack Skeleton era stato catapultato; solo che a differenza di quest’ultimo Dawson non riusciva a rimanere impressionato da quello scintillio di luci e colori.

Los Angeles era una città meravigliosa il più delle volte, ricca di vita, diversità e, soprattutto, opportunità. Gli aveva offerto lavoro e riparo ormai da anni, e aveva contribuito a renderlo quello che era, perciò non avrebbe mai potuto odiarla ma, nonostante questi aspetti positivi, non era mai riuscito a sentirla completamente casa sua. Forse perché l’aveva sempre trovata esagerata. Non era un luogo che lui riusciva a vivere a pieno, sempre troppo sfarzoso e caotico per il suo carattere tranquillo. L’aveva sognata e idealizzata a lungo, durante la sua adolescenza, ma da quando si era ritrovato a viverci, a volte rimpiangeva la bellezza e magia della placida Capeside.

Una volta riuscito a superare la lunga serpentina di auto che conduceva al suo appartamento ed essersi ritrovato al sicuro tra le quattro mura, il ragazzo poggiò il suo lavoro in salotto e corse subito in bagno per una doccia bollente. Non c’era nulla che l’acqua calda non potesse lavare via e questo voleva dire non solo la stanchezza e lo stress della giornata, ma soprattutto i pensieri, per quanto strani potessero essere. Aprì il getto e lasciò che l’acqua gli massaggiasse mente e corpo, determinato a far scorrere nello scarico fatiche e preoccupazioni, ma ovviamente questo non avvenne e questa volta dovette assistere a qualcosa di molto più bizzarro.

«PACEY?» urlò mentre si insaponava i capelli e fu tentato di tirare un pugno al suo migliore amico, che a quanto pareva non conosceva la buona educazione e voleva farlo morire di infarto a soli 34 anni.

«Sbagliato! O giusto? Non so mai se considerarmi lui-lui o lui per metà.» rispose l’amico gesticolando mentre Dawson, visibilmente a disagio, cercava invano l’asciugamano. «Oh, tranquillo! Noi fantasmi non giudichiamo, in fondo lì sopra siamo tutti nudi! E poi non è nulla che io non abbia già visto.» Pacey – o quello che almeno sembrava essere il suo migliore amico – ironizzò su quella situazione ma Dawson non trovò quel momento molto divertente.

Il biondo uscì dalla doccia e, dopo aver ripescato due asciugamani, ne legò uno alla vita e con l’altro inziò a frizionarsi i capelli. «Vuoi spiegarmi perché sei un fantasma? Pacey non è mica morto!» urlò quelle parole con un fondo di terrore nella voce e, all’improvviso, temette il peggio.

«Tranquillo, tranquillo, non funziona mica così dalle nostre parti! Siamo fantasmi sì, ma non nel vero senso della parola.» il moro ridacchiò seguendolo fuori dalla doccia «Oh, insomma! Non ho mai prestato molta attenzione alle lezioni per diventare un vero fantasma del Natale presente! So solo che devi venire con me!»

Dawson non fece in tempo a parlare che si ritrovò trasportato fuori da casa e con indosso la sua tuta. Mentre sorvolavano la città si guardò intorno, cercando di capire dove Pacey lo stesse conducendo, quando finalmente tra le mille luci riconobbe l’Empire State Bulding.

«Ho pensato non volessi fare questo lungo viaggio nudo, quindi ho rimediato anche a questo visto quanto sembravi tenerci!» Ancora una volta quel fantasma – faceva persino fatica a definirlo tale – lesse la mente del ragazzo e questa cosa iniziò ad innervosirlo.

«Come avrai già capito, siamo a New York. Ma riconosci questo posto?» Pacey indicò un appartamento illuminato in un grande palazzo e  Dawson aguzzò lo sguardo, cercando di carpire qualche particolare del posto in cui si trovavano, ma non riuscì a rispondere alla domanda del suo migliore amico. «Beh, del resto come potresti? Non sei mai venuto a trovarli.»

Il ragazzo guardò prima il fantasma e poi dall’altro lato della stanza e vide Pacey e Joey, seduti sul loro divano, a guardare “The Creek”.

«Pensi che quest’anno Dawson verrà a passare il Natale a Capeside o troverà un’altra scusa per non esserci come ogni anno?» il suo migliore amico, quello vero stavolta, si rivolse a Joey che lo ricambiò con un sorriso dolce.

«Pacey… sai che Dawson lavora parecchio! Le sue non sono scuse, è solamente molto impegnato ma sono sicura farà di tutto per liberarsi.» La ragazza alzò le spalle, cercando di mascherare il dispiacere dinnanzi a quel pensiero, e forzò un altro sorriso.

«Sarà…» concluse Pacey non troppo convinto, chiudendo lì quella conversazione, ed entrambi tornarono a guardare lo show in silenzio mentre Dawson da lontano li osservò ammutolito.

Da quando i suoi due amici nutrivano dei dubbi sulla veridicità delle sue parole? Li aveva sentiti quasi ogni settimana per telefono, nell’ultimo periodo, e tutto era sembrato normale. Le loro vite avevano preso strade diverse, ma questo non voleva dire che non tenesse a loro o non avesse voglia di vederli. Le sue non erano scuse… o forse sì? Continuava a ripetere a se stesso di essere troppo impegnato, di dover lavorare, di avere delle scandenze da rispettare, ma forse non era tutta la verità. Si voltò verso il suo amico fantasma, rimasto in silenzio fino ad allora accanto a lui, e finalmente trovò il coraggio di parlare.

«Joey non lo pensa davvero, no?»

«Tu cosa pensi?»

Sentire la sua anima gemella così delusa e amaraggiata lo aveva rattristato. Forse si era comportato da vero egoista pensando che una chiamata a settimana in tutti questi anni sarebbe bastata, forse aveva preteso troppo dalla loro amicizia e aveva dato tutto per scontato. Come si era ritrovato a quel punto? Non era arrabbiato con i suoi amici, non poteva esserlo, loro in fondo non avevano colpe. Ma non riusciva a capire come mai non gli avessero mai parlato di questi dubbi.

«Non è finita qui! Pensi di riuscire a sopportare altro?» il fantasma guardò Dawson e lui annuì debolmente. Non era molto sicuro di riuscirci, quelle poche ore erano state come una montagna russa di emozioni per lui, tra fantasmi passati che erano tornati a fargli visita, ricordi dolorosi e delusioni presenti; ma ormai si trovava lì e non si sarebbe tirato indietro solo perché aveva paura. Senza contare che il fantasma del suo migliore amico non sembrava così intenzionato a lasciarlo andare. Così, come in precedenza e con uno schiocco di dita, il panorama di fronte a loro svanì e alle luci della metropoli di New York si sostituirono, nuovamente, quelle della sua casa a Capeside.

«Joey? Sei la prossima?» non aveva ancora capito bene come funzionasse questa storia dei fantasmi ma, nel vedere apparire di fianco a lui la sua migliore amica e scomparire Pacey, diede per scontato che fosse così.

Il fantasma si limitò ad annuire e, con un solo gesto, lo condusse in casa.

Gli interni dell’abitazione non erano così diversi da quando viveva ancora con sua madre. Lei e il suo nuovo marito Stan l’avevano rimodernata, ma alcune cose Gale non se l’era sentita di buttarle via e le aveva lasciate così com’erano quando era ancora in vita Mitch.

Lily, ormai cresciuta e troppo ribelle per i gusti di un fratello maggiore geloso, stava seduta sulla vecchia poltrona di Mitch e non distoglieva lo sguardo dal suo nuovo smartphone. Gale invece, intenta a decorare l’albero appena preso, la chiamava dall’altra parte della stanza.

«LILLIAN LEERY! Ti ho detto di venire subito qui e mettere via quel maledetto aggeggio!» la sua voce rimbombò nella stanza silenziosa, apparendo persino a Dawson terrificante, ma la ragazza non sembrò per nulla preoccupata.

«Non chiamarmi così, sai che lo odio!» con una smorfia poco convinta, la sorella si alzò dalla sua comoda postazione e borbottando ancora arrivò accanto a Gale, facendo ondeggiare i suoi capelli biondi ora colorati da alcune ciocche rosa. «Tanto non verrà nemmeno quest’anno e tutto questo lavoro sarà tempo sprecato!»

Gale le tirò via il cellulare dalle mani e lo ripose nella tasca del suo grembiule. «Adesso aiutami, signorinella, o rivedrai il tuo amato iPhone dopo queste feste!»

Ma le minacce della madre non placarono la testardaggine di Lily che, anziché aiutarla, incrociò le braccia al petto guardandola in cagnesco. «Questo non puoi farlo! Quello è un regalo di Stan!» la donna cercò di zittirla ma lei continuò la sua diatriba «È proprio assurdo! A lui perdoni sempre tutto mentre io sono quella che viene punita, eppure vivo ancora qui!». La madre cercò nuovamente di prendere la parola ma Lily non aveva nessuna intenzione di dargliela vinta «Dawson di qua, Dawson di là, quanto è bravo e talentuoso mio figlio Dawson il regista! Eppure il tuo amato figliolo è diventato famoso e si è dimenticato di noi!»

Dawson rimase ad osservare quella scena completamente sconcertato da ciò che stava sentendo, ma quando sentì sua sorella parlare con quei toni a sua madre non riuscì più a trattenersi e fece un passo in avanti per bloccarla.

«Non possono vederti, noi per loro non siamo qui!» il fantasma che aveva assunto le sembianze di Joey lo bloccò ancora prima che facesse qualsiasi mossa e lui fu costretto a vedere sua sorella salire in camera in lacrime e la madre rimanere in salotto ferita.

«Non è giusto che lei la tratti così! Cosa è preso a Lily? Non è mai stata così maleducata!» Dawson era su tutte le furie e non capiva come, la tenera e dolce sorellina che ricordava di avere, in quella visione si fosse trasformata in un’adolescente arrabbiata.

«La Lily che ricordi tu non c’è più da tanto tempo, Dawson. La tua sorellina non è più una bambina ormai.» il fantasma della sua anima gemella gli rivolse un sorriso dolce, proprio come era solita fare la vera Joey ogni volta che cercava di consolarlo, e lui sospirò tristemente. 

«Sono mancato per così tanto tempo?» La sua era una domanda scontata, sapeva che era così, ciononostante non poté credere di essersi perso quella trasformazione, di non aver capito quali problemi avesse sua sorella.

«Poco o troppo, tutto è relativo. Soprattutto se si parla di un’adolescente e dei suoi sentimenti. Ricordi com’è avere 16 anni? O lo hai dimenticato?»

Putroppo, Dawson, lo ricordava bene. Se c’era una cosa che il suo show non gli aveva permesso di fare era dimenticare i suoi 16 anni, la sua adolescenza. Aveva dimenticato la vita vera, cosa volesse dire vivere nel mondo reale, ma i sentimenti e le emozioni del ragazzino che amava Spielberg, la sua anima gemella e aveva sogni più grandi di se stesso li ricordava bene.

Scosse la testa cercando di ricacciare indietro quei ricordi e quei pensieri, troppo dolorosi da accettare, e si rivolse di nuovo a Joey. «Voglio tornare a Los Angeles, non ne posso più di questa tortura! Nulla di tutto questo è vero! Non può esserlo! Se Lily avesse avuto qualche problema mia madre me ne avrebbe parlato, io me ne sarei accorto! Diamine, la sento ogni giorno su Facetime!»

Pronunciò quelle parole con forse troppa decisione, più per convincere se stesso che quel fantasma, eppure una piccola vocina nel profondo della sua coscienza lo rendeva irrequieto, qualcosa che stava cercando di ignorare ma che ormai stava facendosi spazio nella sua mente da tutta la sera.

«Come desideri.» Joey non pronunciò altro e, ancora una volta prima che ne se accorgesse, Dawson si ritrovò di nuovo a Los Angeles nel suo appartamento, completamente solo e lontano da tutte le persone della sua vita.

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