A Dawson’s Creekmas Carol – Capitolo 4 [FANFICTION]

Capitolo 4

Di nuovo solo, Dawson si rese conto che nulla era migliorato da quando aveva messo piede in casa e che anzi i suoi problemi si erano addirittura triplicati. Lo stress per quel lavoro da finire lo stava mettendo a dura prova, facendogli avere dei veri e propri incubi ad occhi aperti che, da come aveva potuto constatare, non avevano intenzione di dargli tregua. E questo andava a minare anche il suo già instabile equilibrio, conducendolo verso pensieri che non aveva tempo o voglia di indagare ulteriormente.

Pensò che forse si trattava solo di stanchezza, che doveva essere affamato e disidratato, così raggiunse la cucina e aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa di commestibile da mettere sotto ai denti. Da quanto tempo non faceva la spesa? A giudicare da quel poco cibo che aveva trovato nel suo frigo, composto in gran parte di avanzi dei take-away, da troppo. Prese un trancio di pizza fredda e una birra, sperando non fossero entrambe troppo vecchie per essere digerite, e richiuse lo sportello tornando nella penombra della stanza.

A dire la verità non aveva molta fame in quel periodo. Ogni volta che provava a mettere qualcosa sotto ai denti pensava sempre di star sprecando del tempo prezioso e, subito, il suo stomaco si richiudeva per il troppo stress e lui finiva col rimettersi a lavoro digiuno. Altre volte, ancora, lavorava così tanto da scordarsi persino di dover pranzare e cenare, e se non fosse stato per Gloria probabilmente sarebbe morto di fame da mesi ormai. Sapeva che questo comportamento non era da considerare sano e che se l’avesse saputo Gale lo avrebbe legato ad una sedia e messo all’ingrasso finché il suo stomaco non fosse esploso; ma non poteva evitarlo. Amava a tal punto il suo lavoro da non riuscire a metterlo in secondo piano mai, nemmeno per se stesso.

Il trancio di pizza scese giù nel suo stomaco così velocemente che a Dawson non sembrò nemmeno di aver mangiato, ma aveva così fretta di rimettersi a lavoro che ignorò quel pensiero, tornando quindi in salotto. Ripescò il suo Mac dal tavolinetto su cui lo aveva lanciato pochi minuti prima e, sedendosi sul divano, lo riaprì sul documento di lavoro. La scena si apriva con Colby che si recava in una gioielleria per comprare un anello che avrebbe presto regalato a Sam. Non sapeva ancora come e soprattutto quando, ma le idee della rete erano chiare: il nuovo episodio doveva essere romantico e magico, ed esprimere soprattutto il vero senso del Natale.

Come se fosse facile, pensò Dawson. Aveva ormai dimenticato quale fosse il vero senso di quella festa e cercare di ripescarlo dalla sua mente non aveva fatto altro che tirare fuori strani pensieri, accompagnati da fantasmi bizzarri ed impiccioni, ma soprattutto da un sacco di preoccupazioni. Provò a non pensarci troppo e scrisse quello che la mente gli suggeriva in quel momento, seguendo il flusso della sua ispirazione senza una vera forma o regola. Scrisse per ore ed ore, senza fermasi nemmeno per una breve pausa e, quando finalmente finì quel capitolo e rialzò lo sguardo dal suo PC, si rese conto che era l’alba. I colori del mattino, fuori dalle grandi porte a vetri del suo appartamento, dipinsero il monte Lee e la scritta monumentale che sovrasta il quartiere di Hollywood. L’azzurro pallido del cielo iniziò a tingersi di arancio e rosa porpora finché, man mano che il sole sorgeva, non vi fu un’esplosione di giallo oro che sembrò infuocare l’orizzonte.

Dawson rimase attonito ad osservare quel magico scenario, per un tempo che non solo sembrò infinito ma anche fargli dimenticare i suoi problemi. Quel momento della giornata era il suo preferito, al contrario di quasi tutti i suoi conoscenti che invece adoravano il tramonto. Forse perché lui di albe ne aveva vissute tante, durante le numerose feste a cui aveva preso parte da quando era divenuto un regista affermato, ma anche a causa della sua costante abitudine di lavorare per tutta la notte. O forse perché l’alba segnava l’inizio di un nuovo giorno e, soprattutto in momenti come quelli che aveva appena vissuto, Dawson sentiva il bisogno di nuovi inizi.

Ma come ogni volta, quando la magia svanì, il ragazzo si ritrovò di nuovo a dover fare i conti con il giorno che era appena iniziato e con le scadenze che questo comportava. Aveva scritto per tutta la notte, senza fermarsi a rileggere o a pensare cosa fosse giusto o sbagliato, guidato soltanto dalla sua ispirazione. Aveva stilato pagine e pagine di copione, eppure c’era ancora qualcosa che non lo convinceva. Tra quelle righe c’era sempre lui, la sua vita e il suo rapporto con Joey, ma mancava la magia. Mancava quello che la rete gli aveva chiesto, “lo spirito del Natale”, e non sapeva proprio come fare a tirare fuori qualcosa che nemmeno più pensava di possedere.

La consegna di quei fogli era prevista per mezzogiorno, guardò l’orologio e notò che erano appena le sei, il che significava che aveva ancora sei ore piene per capire come rendere al meglio qualcosa che non sapeva nemmeno più cosa fosse. Decise che sarebbe stato meglio riposare qualche ora, ricaricare le batterie, rialzarsi per le nove e poi lasciarsi guidare dall’istinto, o sperare in un miracolo.

Ripose dunque il suo PC sul divano e, dirigendosi verso la camera da letto, si lanciò sul materasso morbido sprofondando tra i cuscini e le coperte. Inés – la donna messicana che si occupava della pulizia del suo appartamento – aveva cambiato da poco le lenzuola e profumavano di lavanda e muschio bianco. La ringraziò mentalmente, consapevole che senza di lei la sua casa a quel punto sarebbe sembrata più simile ad una discarica, e socchiuse gli occhi cercando di rilassarsi.

Non era facile dormire quando si avevano troppi pensieri in testa e, soprattutto, quando il peso di tutta la sua carriera e del suo futuro erano sulle sue spalle, ma aveva bisogno di farlo se voleva davvero tenersi stretto il suo lavoro. Iniziò a sognare quasi sin da subito. O almeno così doveva essere, visto che si stava librando nell’aria come un uccello, sorpassando i tetti e i monumenti di Hollywood. L’aria fresca di quel mattino di Dicembre arrivò a pizzicargli il viso, ma anziché dagli fastidio sembrò arrecargli sollievo. Socchiuse gli occhi mentre il suo corpo ondeggiava tra le nuvole soffici e bianche del cielo, e continuò a volare sulla città degli angeli finché una raffica di vento lo spinse nella direzione opposta, trascinandolo in quello che sembrava un vero e proprio tornado. Dawson riaprì gli occhi spaventato e si rese conto di essere completamente al buio. Il sole, sopra di lui, si era all’improvviso oscurato, l’aria fresca era divenuta gelida e le tenebre avevano avvolto tutto intorno, tanto da non permettergli di capire dove quel tremendo uragano lo stesse conducendo. Solo quando cadde rovinosamente al suolo, sbattendo il sedere su un pavimento duro di erbacce e rami secchi, si rese conto di non essere più a Los Angeles ma di trovarsi di nuovo a Capeside; o almeno in quello che restava di quel paesino in cui era nato.

Lo scenario che si presentò davanti ai suoi occhi, infatti, a tutto somigliava tranne che alla magica città che conosceva. Il fiume, un tempo limpido e ricco di fauna, era nero e ricoperto di alghe, il pontile completamente distrutto, così come il portico di casa sua. Anche quest’ultima, adesso buia e fatiscente, sembrava fosse uscita da un film horror e non aveva nulla a che vedere con l’abitazione che ricordava. Tutte le luci in casa erano spente, tutti gli infissi logori, e anche le assi del soffitto sembravano essere crollate da tempo. Sembrava, insomma, che in quella casa non abitasse nessuno da anni e Dawson non riuscì a capire come questo fosse possibile.

Si rialzò da terra molto lentamente, massaggiandosi il fondoschiena indolenzito per la caduta, e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che gli permettesse di capire cosa stesse succedendo. Perché si trovava lì? E cosa era successo alla sua casa e a Capeside? Se si trattava di un sogno era, senz’altro, uno dei più terrificanti che avesse mai fatto e, in quel momento, desiderava soltanto svegliarsi e darsela a gambe.

Camminò per qualche metro, scorgendo da lontano gli alberi secchi del suo giardino e la scala in cui era solita arrampicarsi Joey completamente a pezzi, e man mano che si avvicinò alla porta d’ingresso notò una sagoma immobile lì davanti, che però non riuscì a riconoscere.

«Mamma? Joey?» Dai capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle capì che si trattava di una donna, ma soltanto quando la ragazza si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi con il suo sguardo penetrante, Dawson capì di chi si trattava. «Gretchen?»

Quella che un tempo era stata la sua ragazza, adesso si trovava immobile di fronte a lui e lo scrutava con un’espressione spenta e afflitta sul volto. Gli occhi, un tempo accesi e pieni di vita di Gretchen, ora erano segnati da scure e profonde occhiaie, mentre il viso incorniciato da capelli ritti e crespi. Anche gli abiti che portava sembravano logori, come se non li cambiasse da una vita. Dawson rimase a bocca aperta nel ritrovarsi quell’immagine davanti e, soprattutto in quel momento, si rese conto che tutto ciò che stava vivendo non poteva essere reale.

Non vedeva Gretchen da anni e non l’aveva nemmeno più sentita, ma aveva seguito la sua vita e sapeva che non poteva essere possibile una cosa del genere. La ragazza che aveva amato all’età di diciotto anni, adesso era diventata una giornalista di successo, corrispondente estera del Boston Post e grande avventuriera. Aveva girato il mondo, recandosi anche nei paesi afflitti dalla guerra e dalla povertà, portando un contributo non indifferente e cambiando il modo di fare giornalismo degli ultimi dieci anni. Era, insomma, una donna che non aveva nulla a che vedere con quella che gli stava dinanzi e che di certo non se ne sarebbe stata lì a fissarlo in quel modo.

«Perché siamo qui? Cosa sta succedendo?» dopo quei pensieri Dawson tornò a rivolgersi alla sua strana accompagnatrice che però continuò a fissare la sua casa senza rispondergli. «Sei anche tu un fantasma? Che cosa è questo? Ancora il presente?» continuò con le domande ma la donna non sembrava avere intenzione di parlare e Dawson cominciò a perdere la pazienza.

Tutto ciò di cui aveva bisogno era del normale e sano riposo, un paio di ore senza strani pensieri o sogni assurdi in cui qualche persona della sua vita venisse a fargli visita. Non pensava di chiedere tanto. E invece si era ritrovato ancora una volta rinchiuso in una strana dimensione, in una prigione da cui era impossibile scappare, e con la sola compagnia di qualcuno che non aveva intenzione di parlare. Se questo era il miracolo di Natale che stava aspettando, per poter concludere la sua storia, qualcosa doveva essere andato storto.

Si voltò abbattuto verso il fiume, deciso ad andare via da lì o almeno a provarci, ma proprio in quel momento Gretchen lo tirò per un braccio e lo trascinò all’interno della casa, senza che nemmeno se ne rendesse conto. La cucina dei Leery era completamente distrutta così come parte del salotto, ormai vuoto da qualsiasi mobilia, e delle scale piene solo di polvere.

Gretchen gli fece segno di seguirla su per quei gradini distrutti e Dawson cercò di stare al passo senza rischiare di cadere. Una volta al piano di sopra, di fronte a quella che era stata un tempo la stanza del ragazzo, lei girò la maniglia e la porta scricchiolante si aprì.

Dawson osservò il panorama che gli si presentò e rimase a bocca aperta per il terrore. La sua stanza, quella che un tempo era stata l’unica sua protezione dal mondo esterno, non esisteva più. Non c’era il suo letto, il suo armadio, la sua scrivania, non c’erano poster attaccati al muro, tende alle finestre o i suoi oggetti da collezione. Non c’era nulla e, a dire il vero, sembrava che nessuno avesse mai abitato quella camera fino ad allora.

«Tutto questo che significa?» Dawson tornò a parlare, terrorizzato e confuso da ciò che stava vedendo, e sperò che stavolta Gretchen – o meglio, colei che aveva assunto le sembianze della sua ex ragazza – rispondesse ad una delle sue tante domande.

«Non lo hai ancora capito?» la ragazza finalmente parlò e la sua voce apparve lontanissima, nonostante si trovassero entrambi in quella stanza a pochi centimetri di distanza. «Questo è il futuro, Dawson. Io sono il fantasma del Natale futuro.»

Il ragazzo la guardò perplesso, pensando che quella spiegazione non avesse senso, visto che in quello scenario apocalittico che Gretchen gli aveva mostrato non solo non esisteva nessun Natale ma nemmeno nessun futuro.

«Capisco i tuoi dubbi, Dawson… ma lascia che ti spieghi.» quel fantasma, come i suoi predecessori, dimostrò di saper leggere nel pensiero del giovane ma, stavolta, per Dawson fu quasi un sollievo. Non ne poteva più di tutti quei silenzi, di ritrovarsi in quel luogo terrificante e, soprattutto, di non avere nessuna risposta.

«Tutto è cominciato più di trent’anni fa, proprio in questa casa. Una giovane coppia di sposi innamorati, dopo qualche anno di matrimonio, decisero di allargare la loro famiglia e di provare ad avere il loro primogenito. Provarono per molti anni, sempre pieni di speranza e amore, ma purtroppo questo bambino non arrivò mai.» Dawson alzò un sopracciglio, non capendo a cosa Gretchen si stesse riferendo «Gli anni trascorsero e i due sposi, dopo molti tentativi andati a male, decisero di rinunciare pensando che il loro amore potesse bastare. Questo però non avvenne e, quando la moglie tradì il marito con un collega di lavoro, il loro matrimonio naufragò ed i due divorziarono, lasciando anche questa casa e prendendo strade diverse.» La ragazza continuò quel racconto e Dawson trasalì per il terrore. Gretchen stava parlando dei suoi genitori? E il bambino mai nato era lui? Ma come era possibile?

«Ma non è finita qui…» il fantasma indicò fuori dalla finestra e Dawson si rese conto che era appena scoppiata una tempesta, una delle più violente e terrificanti mai viste in vita sua. «Diversi anni più tardi, un ragazzo e una ragazza uscirono in barca, per godersi uno degli ultimi giorni d’estate, e una tempesta li sorprese.» Gretchen guardò di nuovo verso Dawson e lui capì subito di cosa stesse parlando. «Quel ragazzo e quella ragazza erano Pacey e Jen. Ricordi bene questa storia, no Dawson?». Il ragazzo annuì, senza distogliere lo sguardo dalla tempesta che avversava fuori dalla finestra. «Beh, come avrai potuto capire quei due ragazzi, quel giorno fuori durante quella tempesta, non ce l’hanno fatta.» 

Dawson sentì il sangue raggelare nelle vene e il respiro mozzarsi in gola. «No… No! Non può essere! Stai mentendo! Io li ho salvati!» Urlò a pieni polmoni contro Gretchen, nonostante la sua voce fuoriuscì dalla sua gola come un sussurro, ma la ragazza non sembrò scomporsi.

«Pensavo l’avessi ormai capito, Dawson. Tu in questo futuro non esisti, non sei mai nato e non li hai mai salvati.»

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